Candide Miopie

Aprile 19, 2013

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La sovversione è un fenomeno contestuale, storico e soprattutto sociale. Per quanto il potenziale “destabilizzante” di un testo possa eccitare a livello corporeo o su altri piani, il fatto che esso sia di rottura o di mediazione, l’una o l’altra cosa o nessuna, non può essere determinato che a condizione di non astrarre dalle pratiche sociali correnti. Susan Bordo.

Se è vero quello che dice Susan Bordo dovremmo cercare di porci delle domande sulle pratiche sociali e prima tra tutte sul movimento femminista. Utilizzeremo allora un testo alla ricerca di  spunti utili per porci le domande giuste: Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale di Bell Hooks, femminista afroamericana.

Il testo è una raccolta di saggi dove la teorica affronta il tema della commistione tra sesso e razza, denuncia la miopia dei movimenti politici progressisti, critici rispetto al sistema culturale dominante bianco ma cechi rispetto alla questione del genere e contesta la miopia del movimento femminista rispetto al discorso della razza. L’intersezione tra sesso e razza è un argomento che in Italia ancora è poco affrontato, forse perché pensiamo non ci riguardi o non ci riguardi abbastanza, ma non è così. Su cosa si fonda oggi la nostra appartenenza? Quale uguaglianza ci rende nominabili come “donne”? Le nostre differenze, le differenze tra donne e non più solo la differenza che più di tutte ha assorbito le nostre energie, quella con l’uomo, assumono valore centrale nella nostra riflessione sul femminismo e sulle pratiche sociali sulle quali ci interroghiamo. Questo testo ci dice molto su queste differenze, sulla capacità di vederle, nominarle, metterle in questione nel nostro percorso politico, teorico e pratico per analizzare e cambiare davvero la base del patto collettivo. Ma veniamo nello specifico all’analisi del testo di Bell Hooks.

Le femministe sono in grado, oggi, di comprendere affondo il punto di vista delle donne di colore e di accogliere la loro lotta contro il sessismo?

Alla domanda posta da Bell Hooks nella sua raccolta di saggi su sesso e razza, possiamo dare una risposta solo se siamo in grado di assumere la prospettiva delle donne nere; un’azione questa che ci renderebbe capaci di mettere realmente in discussione le fondamenta stesse della cultura occidentale, che Hooks chiama “il pensiero suprematista bianco”.  Le femministe, così come i teorici e gli esperti che si occupano dei temi dell’alterità, dovrebbero capire meglio cosa le donne di colore intendono quando criticano la loro cultura. Come scrive Bell Hooks, per i bianchi si tratterebbe di capire a fondo:

quel senso di profonda alienazione, disperazione, insicurezza, e di perdita di appartenenza dei gruppi oppressi.

Come fare? Innanzitutto è importante recuperare le diverse esperienze vissute dalle donne nere sfidando, in questo modo, il concetto monolitico di “negritudine” rappresentato solitamente come un fenomeno a un’unica dimensione. Non esiste un’unica identità nera ed è proprio dando voce alla molteplicità delle esperienze delle donne nere e degli uomini neri che le bianche e i bianchi possono sperare realmente di sfidare il razzismo.

Questa miopia culturale è stata raccolta anche dalle femministe e ha un nome, si chiama “essenzialismo” ed è un approccio teorico che tende a etichettare le “donne” all’interno di un soggetto unico, di un’unica definizione e ad annullare le “differenze” esistenti tra loro, “differenze”  che sono culturali ma anche sociali.

Per capire la distanza che separa le donne nere dalla cultura bianca, sarebbe necessario conoscere meglio le dinamiche interrazziali e la loro storia. Hooks racconta la sua esperienza di bambina quando andava a trovare i nonni che vivevano in un quartiere bianco e parla dell’allegria di sentirsi a casa da un lato, dell’amarezza del viaggio dall’altro, dovuta “al richiamo costante al potere e al controllo dei bianchi” sui neri.

Ricordo il timore, la paura di andare da Baba (a casa di nostra nonna), perché per arrivarci dovevamo superare quel terribile biancore – quelle facce bianche che dalle verande ci guardavano dall’alto in basso con odio. Anche quando erano vuote o abbandonate, quelle verande sembravano dire “pericolo”, “tornatevene a casa vostra”, “non siete al sicuro”.

È proprio nelle case il posto in cui la comunità nera impara ad esorcizzare il potere dei bianchi trasformando il focolare in luogo di resistenza.  Sono le donne nere che nelle case producono cibo, calore e vita ridando alle figlie e ai figli la dignità e l’integrità di stare al mondo. La differenza storica che ha distinto le donne dagli uomini neri è stata proprio questa resistenza in casa che ha potuto conservare la dignità della comunità nera. A questo proposito Hooks scrive:

Costruire un focolare domestico non significava soltanto fornire dei servizi. Voleva dire costruire un luogo sicuro dove i neri potessero confermarsi l’un l’altro e, così facendo, guarire molte delle ferite che la dominazione razzista aveva inflitto loro. Nella cultura della supremazia bianca, all’esterno non saremmo mai riusciti ad imparare ad amare o a rispettare noi stessi; è stato lì, all’interno, in quel focolare domestico per lo più creato e mantenuto dalle donne nere, che abbiamo avuto modo di crescere e progredire, di nutrire il nostro spirito.

Le femministe occidentali sostengono che storicamente le donne nere si sono impegnate nella costruzione di un focolare domestico proprio perché era quello il posto e il ruolo che il sessismo aveva riservato loro. Hooks ritiene invece che le donne nere non si siano adeguate ad un ruolo ma che, al contrario, lo abbiamo utilizzato per ridare dignità ad un popolo oppresso e nella domesticità abbiano insegnato alle donne e agli uomini neri ad essere degli autentici rivoluzionari.

Le donne di colore hanno, di fatto, attuato una revisione del “luogo domestico” e del concetto di “focolare” reinterpretandolo come luogo di resistenza e lo hanno fatto intenzionalmente e consapevolmente. Pensare che la donna nera in casa non abbia fatto di più di ciò che ci si aspettava da lei, come sostengono le femministe bianche e la tradizione nera del “culto della madre” secondo cui la donna nera è figura di abnegazione e di sacrificio, significa reinterpretare il ruolo svolto dalle donne nere nella battaglia di liberazione in ottica razzista e sessista.  È proprio quest’ottica e la svalutazione della loro esperienza a impedire alle donne nere di esercitare autonomamente la propria volontà e di costituirsi come soggetti autonomi. Continua Hooks:

La lotta di liberazione (dei neri) è stata seriamente danneggiata dal concomitante tentativo di trasformare il sovversivo focolare domestico nero in sito di dominio patriarcale degli uomini sulle donne … nella vita dei neri, oggi, i paradigmi della domesticità riflettono le norme borghesi bianche (dove la casa viene concettualizzata come spazio politicamente neutro), i neri cominciano a dimenticare e a svalutare l’importanza del lavoro delle donne, la loro capacità di insegnare una coscienza critica nello spazio domestico.

Aggredire la femminilità nera nei suoi luoghi di resistenza, dall’interno, è semplicemente un altro modo attuato dai bianchi per continuare ad opprimerla. Questa concezione usa il paradigma sessista per svalutare un atto di resistenza contro il dominio bianco, rappresentando il razzismo come sistema più sopportabile rispetto al sessismo e fingendo che i due sistemi non siano strettamente connessi.

Ridare dignità alle donne di colore significa dare dignità alla loro storia e alle pratiche di lotta per riuscire a trasmettere strutture di significato alle giovani generazioni di donne di colore che stanno cercando di autodefinirsi.

Abbiamo parlato di sessismo e di razzismo. In che senso i due sistemi sono interconnessi?

Hooks ne spiega il legame a partire dallo stupro che considera la pratica culturale di supremazia dei bianchi sui neri:

Tutto ebbe inizio con lo schiavismo … allora, il corpo delle nere era il terreno discorsivo, il campo da gioco dove razzismo e sessualità convergevano. Lo stupro come diritto e rito del gruppo maschile bianco dominante era la norma culturale, metafora della colonizzazione imperialista europea delle Americhe …

Lo stupro è un gesto di castrazione simbolica. I maschi dominanti vengono deprivati del loro potere (vale a dire ridotti all’impotenza) ogni volta che le donne che essi avrebbero il diritto di possedere … vengono fottute e sottomesse dal gruppo maschile dominante vittorioso.

Questa narrativa della sessualità, capace di sconvolgere i rapporti di potere tra gruppi etnici, è stata soppiantata recentemente da un’altra narrativa, sempre inventata dai bianchi:

il desiderio incontenibile dei maschi neri di violare il corpo delle donne bianche, così da rappresentare i neri come maschi che si vendicano dei bianchi diventando dominanti a loro volta.

La liberazione è stata equiparata al potere, alla virilità e dunque alla supremazia sessuale, che vuol dire accesso indiscriminato degli uomini al corpo delle donne. Questa narrativa, condivisa sia dai maschi bianchi che dai neri, è soltanto un modo che adotta il suprematismo bianco per continuare a mantenere il controllo sulla comunità nera.

Entrambi i gruppi sono stati socializzati a far proprio il dogma patriarcale che lo stupro è un modo accettabile di mantenere il dominio maschile.

Ma fintanto che gli uomini neri continueranno a credere che la dominazione bianca significa la perdita della propria virilità nera, verrà perpetuata l’idea che tutti i neri sono stupratori dando l’opportunità ai bianchi e ai loro mezzi di informazione di diffondere e consolidare il pregiudizio contro i neri, alimentando l’odio e la discriminazione razziale. Così, la minaccia di stupro di un nero diventa più pericolosa di quella di un bianco (sebbene lo stupro venga esercitato da tutti gli uomini indipendentemente dalla loro appartenenza ad un gruppo etnico), le donne bianche hanno più valore delle donne di colore e i maschi neri non ricavano alcun riconoscimento sociale e materiale dal fatto di partecipare al patriarcato. Anzi, ne diventano le vittime.

Perché mai il sessismo dei maschi di colore viene evocato come se si trattasse di un disordine sociale di marca speciale, più pericolo … del sessismo che pervade la cultura nel suo insieme o del sessismo che informa il dominio sessuale dei maschi bianchi sulle donne Queste domande, riportano l’attenzione sulla logica e il modo di pensare binari, che sono il fondamento filosofico dei sistemi di dominio.

È importante dunque, secondo Hooks, combattere contro razzismo e sessismo considerandoli sistemi interconnessi di potere.

La lotta di liberazione dei neri va revisionata, perché non sia più identificata con la maschilità. Ci serve una visione rivoluzionaria della liberazione nera, una visione che emerga dalla prospettiva femminista e apostrofi la condizione collettiva della nostra gente.

La fascinazione per la “negritudine” e la riduzione a bene di consumo degli aspetti della cultura nera rappresentano per Bell Hooks concrete minacce che alcuni bianchi, o meglio non neri, come ci tiene a specificare, radical chic, mettono in atto manifestando il loro interesse o la loro invidia per la cultura nera. Madonna in un’intervista dichiarò che da bambina avrebbe voluto avere la pelle nera, esempio questo lampante, dice l’autrice, del privilegio dei bianchi dalla cui prospettiva il nero è visto solo in relazione alla cultura di opposizione che i neri hanno creato nel loro percorso di resistenza al razzismo. Dice Bell Hooks:

I bianchi non vedono mai il dolore dei neri non capiscono mai veramente la complessità del nostro piacere. E non c’è da stupirsi allora se, quando tentano di imitare la gioia di vivere che considerano l’”essenza” dello spirito dei neri, le loro produzioni culturali hanno un’aria di inautenticità e falsità che può forse titillare e magari commuovere il pubblico bianco, ma lascia freddi molti di noi.

Madonna incarnerebbe, secondo Hooks, quella che lei chiama l’”ambizione bionda”: la storia di Madonna e di tutte le donne che in qualche modo si identificano con lei o ambiscono a diventarne sue cloni, è la storia di una bambina bruttina e povera, che grazie ad una serie di artifici riesce a raggiungere l’innaturale e costruita bellezza bianca. La bellezza femminile ideale è quindi costruzione sociale, finzione, artificio, è “l’ambizione bionda” ed è una costruzione ostentata, rivendicata, esibita. Ciò a cui però una donna nera non potrà mai ambire è l’essere considerata, sotto quell’artifizio, una donna innocente, perché, dice Hooks

Le donne nere non sono innocenti e non potranno mai esserlo. Poiché nell’iconografia culturale razzista noi siamo codificate come donne “perdute”, non potremo mai, a differenza di Madonna, “costruirci” pubblicamente un’immagine di donna innocente che osa comportarsi male. La cultura dominante legge in ogni caso il corpo femminile nero come segno di consumata esperienza sessuale.

C’è  complicità secondo Hooks tra il silenzio e il sistema di dominio che si serve dell’ambizione bionda per affermare il suo potere seduttivo. Dice Bell Hooks:

C’è potere nel guardare

Da bambina veniva punita perché guardava, guardava in modo diretto, intenso…

Lo sguardo è politico.

I neri venivano puniti dai loro proprietari bianchi se osavano rivolgere loro lo sguardo: in che modo si chiede l’autrice questo ha influito sulle modalità spettatoriali dei neri, come ha influito il divieto di guardare sulla capacità di guardare? Ai bambini e ai neri, in contesti diversi, veniva impedito di guardare, ma entrambi hanno guardato, sbirciato, il divieto ha prodotto un incremento del desiderio di guardare, del fascino dello sguardo. Il divieto ha prodotto un “desiderio ribelle”, uno “sguardo oppositivo” destinato a cambiare la realtà. Dice Hooks:

Persino nelle peggiori condizioni di subordinazione, la capacità di manipolare il proprio sguardo in barba alle strutture di dominio che lo reprimono, sottrae alla passività.

Lo sguardo diventa allora un punto di fuga, di sottrazione e resistenza interna al potere che è anche in noi, diventa un sito di resistenza, un modo per affermare ed esercitare la propria resistenza. La critica alle immagini veicolate nel cinema per esempio rappresenta proprio lo svelamento della parzialità di una visione e l’affermazione della presenza di uno sguardo critico, l’affermazione dello sguardo oppositivo nero, che mette in discussione le relazioni di potere insite in quelle visioni e da vita a un’altra narrazione, ad altre relazioni di sguardo. La ricostruzione dei movimenti politici per l’uguaglianza razziale può essere letta come costruzione di immagini, la ricostruzione e la ricerca dei punti di rottura e di fuga dall’identificazione con il discorso filmico del cinema dominante, la critica cinematografica divenne allora il modo di rappresentare questa rottura, di segnare la distanza tra spettatore ed immagine rappresentata. La critica di un film e l’affermazione di uno sguardo diverso, oppositivo, sono dunque atti politici, atti che non risparmiano certo i cineasti di colore, svelando anche eventuali momenti di collusione con le pratiche cinematografiche dominanti.

Le femministe nere si sono trovate a dover affrontare due ordini di problemi: da un lato la collusione dei critici di colore con il fallocentrismo e dall’altro la cecità delle femministe bianche nei confronti della loro differenza nella differenza.

La critica dunque nei confronti della rappresentazione della “negritudine” si mostrava indifferenti rispetto al genere! I maschi neri critici rispetto alla negazione della propria presenza e rispetto alle rappresentazioni razziste, non dimostrano altrettanto acume nei confronti delle pratiche spettatoriali  e cinematografiche fallocentriche.

Le spettatrici nere che hanno il coraggio di guardare, di affermare il proprio sguardo critico hanno un rapporto doloroso con il cinema, lo schermo rappresenta una ferita. Dice Hooks:

Che alcune di noi abbiamo scelto di smettere di guardare è stato un gesto di resistenza: guardare altrove era un modo di protestare, di rifiutare di lasciarsi negare … Grazie a questo “stacco”, le spettatrici nere hanno frequentato le sale cinematografiche sapendo bene come razza e razzismo abbiano determinato la costruzione visiva del genere. Che si trattasse di “Nascita di una nazione” o dei film di Shirley Temple, sapevamo che la femminilità bianca era la differenza sessuale razzializzata che occupava il posto del divismo nel cinema commerciale.

Il rifiuto dell’identificazione con il soggetto rappresentato, immaginario del cinema è stato ed è una dichiarazione di potere su di sé e di negazione della passività che quelle immagini vorrebbero rappresentare. Le spettatrici nere si sono rifiutate di identificarsi con la femminilità bianca, con l’oggetto dello sguardo fallocentrico creando una distanza che è uno spazio critico in cui le immagini di soggetto e oggetto sono state decostruite, in cui la differenza razziale viene esplicitata e messa in questione. Anche la critica femminista, dice Hooks, pur sottolineando la rilevanza della razza, dimostra una certa incapacità di vedere e riconoscere la differenza razziale. Dice infatti:

Il concetto di “donna” annulla la differenza tra donne appartenenti a contesti socio storici specifici. Come mai la critica cinematografica femminista, che ha rivendicato come proprio campo di analisi soprattutto il terreno dell’identità, della rappresentazione e della soggettività femminile resta aggressivamente muta di fronte al soggetto della negritudine e in particolare delle rappresentazioni della femminilità nera? Come il cinema commerciale ha storicamente costretto le spettatrici nere a non guardare, molta della critica cinematografica femminista non permette un dialogo teorico capace di includere le voci delle donne di colore.

La spettatorialità femminile nera sembra non interessare dunque neppure la critica cinematografica femminista incapace, secondo l’autrice, di aprire terreni discorsivi inclusivi.

La spettatorialità femminile nera non viene definita secondo Hooks in modo efficace da quelle poche critiche femministe che ne hanno parlato: le donne nere, dice, non si limitano a resistere, ma creano altri testi, mettono in atto  diverse relazioni di sguardo, contestano, revisionano, interrogano, inventano. Il cinema è, per le spettatrici nere capaci di sguardo critico, un luogo e uno spazio di sapere e di produzione discorsiva, spazio che viene problematizzato e rivendicato.

 È la pratica critica a consentire la produzione di una teoria femminista del cinema che teorizza la spettatorialità femminile nera. Guardando e restituendo lo sguardo a chi ci guarda, noi nere ci impegniamo in un processo che ci porta a vedere la nostra storia come contro-memoria e a servircene per conoscere il presente e inventare il futuro.

 

 

Ascolta la prima puntata su Bell Hooks [dura 53′] – Trasmissione “ControEssenze” a cura di Connettive (23 Novembre 2010)

Ascolta la seconda puntata su Bell Hooks [dura 52′] – Trasmissione “ControEssenze” a cura di Connettive (21 Dicembre 2010)

 

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